TRIBUNALE DI MACERATA 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Il Tribunale penale di Macerata, Ufficio GIP-GUP in  funzione  di
giudice  della  esecuzione,  nella  persona  del  dott.  Giovanni  M.
Manzoni. 
 
                            Premesso che 
 
    con decreto penale n. 173/18 emesso nel  proc.  n.  3931/17  F.A.
veniva condannato per omessa custodia di una Beretta  cal.  22  corto
matr. ... e 37 cartucce. 
    Non veniva disposta confisca dell'arma in quanto il PM dava  atto
che la stessa era gia' stata oggetto di confisca nel proc. n. 2261/17
RG mod 44 (procedimento aperto per il reato p. e p. dall'art. 580 del
codice penale a seguito del suicidio della moglie del F.  con  l'arma
di cui sopra, e successivamente archiviato). 
    Effettuata   opposizione   al   decreto    penale,    la    parte
successivamente rinunziava alla stessa ed il decreto penale diventava
pertanto esecutivo. 
    Con nota 12 agosto 2022 l'Ufficio Corpi di reato  chiedeva  darsi
destinazione alla detta arma (ed ad  altri  oggetti  non  rilevanti),
rilevato che nel procedimento n. 2261/17 in  realta'  non  era  stata
assunta alcuna determinazione quanto alla pistola. 
    Con  successiva  richiesta  26  settembre  2022  il  PM  chiedeva
confisca e distruzione della pistola in sequestro. 
    Questo giudice e' pertanto  chiamato  a  decidere  quale  giudice
della esecuzione ex art.  676  del  codice  di  procedura  penale,  a
seguito della richiesta avanzata dal PM  di  confisca  e  distruzione
arma. 
 
                               Osserva 
 
    Ritiene questo giudice la possibile incostituzionalita' dell'art.
6, legge n. 152/1975 la' ove lo stesso prevede che «Il  disposto  del
primo capoverso 240 del codice penale si  applica  a  tutti  i  reati
concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonche' le
munizioni e gli esplosivi... Le armi comuni e  gli  oggetti  alti  ad
offendere  confiscati,   ugualmente   versati   alle   direzioni   di
artiglieria, devono essere destinati alla distruzione,  salvo  quanto
previsto dal nono e decimo comma 32 della legge 18  aprile  1975,  n.
110.» (ossia che «Le  armi  antiche  e  artistiche  comunque  versate
all'autorita' di pubblica sicurezza o alle direzioni  di  artiglieria
non potranno essere distrutte senza  il  preventivo  consenso  di  un
esperto nominato dal sovrintendente per le  gallerie  competente  per
territorio. Le armi riconosciute di  interesse  storico  e  artistico
saranno   destinate   alle   raccolte   pubbliche   indicate    dalla
sovrintendenza delle gallerie competente per territorio»). 
    La norma, infatti, prevede la distruzione di ogni arma (propria o
impropria) confiscata, anche  se  di  valore,  a  meno  che  non  sia
riconosciuta di particolare interesse in quanto antica o artistica  o
di interesse storico e artistico  (profili  evidentemente  del  tutto
eccezionali e che ben possono non ricorrere in armi commerciali anche
di pregio e valore), nel qual caso ha possibilita' di  sfuggire  alla
distruzione e essere destinata a pubbliche raccolte. 
    Tanto, comporta, evidentemente: 
      - una eccezione alla ordinaria disciplina circa la destinazione
dei beni confiscati ex art. 86 disposizioni di attuazione del  codice
di procedura penale e 149 ss. decreto del Presidente della Repubblica
n. 115/2002 (ossia  loro  vendita  con  acquisizione  all'erario  del
profitto della vendita, salvo i beni abbiano interesse scientifico  o
pregio di antichita' o di arte, nel qual caso prima della vendita, e'
avvisato il Ministero della giustizia per l'eventuale destinazione di
questi beni al museo criminale presso il Ministero o altri istituti); 
      - la perdita per l'erario del valore delle armi  che  avrebbero
potuto essere vendute ove non destinate ex lege alla distruzione. 
    Tale disciplina appare a  chi  scrive  del  tutto  irrazionale  e
contrastante con l'art. 3 della Costituzione, atteso che  non  emerge
alcun logico motivo per sottrarre  le  armi  comuni  (e  gli  oggetti
destinati ad offendere) alla ordinaria disciplina sulla  destinazione
dei beni all'esito della confisca e allo Stato  i  profitti  di  tale
vendita. 
    Trattasi infatti di oggetti: 
      astrattamente di possibile lecita vendita e detenzione  ove  in
possesso di idoneo titolo (si parla evidentemente di «semplici»  armi
comuni e pertanto non armi con matricola abrasa o  altri  profili  di
illegittimita' intrinseca e  non  suscettibili  di  reimmissione  sul
mercato e come tali necessariamente destinate alla distruzione ) -  e
anche senza alcun titolo per gli oggetti atti ad offendere; 
      rispetto ai quali non vi e' alcun motivo di  impedire  in  modo
assoluto e «tombale» il rischio che possano  rientrare  nel  possesso
dell'originario detentore (se lo stesso e' stato privato,  a  seguito
del procedimento penale o per altra  causa,  del  titolo  abilitativo
all'acquisto e detenzione armi non potra' riacquistarle; se e' ancora
abilitato potra' acquistarne altre, anche piu' letali,  semplicemente
recandosi presso una qualsiasi armeria o tramite cessione da privato;
se e' in grado di procurarsi armi illegalmente tramite  terzi  potra'
egualmente farlo con altre armi). 
    Addirittura, ove si tratti di semplici oggetti atti ad  offendere
(ad es. una pala, un piccone, un coltello da cucina) sono oggetti dei
quali modello analogo  e'  acquistabile/riacquistatile  semplicemente
presentandosi nel negozio di settore!. 
    Ne' si puo' ipotizzare che tale norma trovi possibile spiegazione
in una valutazione legislativa favorevole alla riduzione  del  numero
di armi circolanti, atteso che nessun limite e' posto alla produzione
o alla commercializzazione di armi (certamente  poi  e'  profilo  del
tutto estraneo agli oggetti atti ad offendere). 
    Ove  poi  si  potesse  ipotizzare  -  per  amore  di  completezza
discorsiva, ma chi scrive non ha rinvenuto alcuna motivazione in  tal
senso sottesa alla emanazione della norma, che pare piuttosto  frutto
delle  preoccupazioni  correlate  ai  c.d.  anni  di  piombo   -   la
opportunita' di evitare  che  armi  usate  in  fatti  particolarmente
eclatanti possano diventare oggetto di morbosa ricerca  ove  vendute,
si puo' evidenziare che: 
      e' ipotesi che si puo' ritenere del tutto  marginale,  rispetto
al globale numero dei casi; 
      trattasi di profili etici/morali che appaiono dubitabilmente di
competenza  dello  Stato  (cinicamente  si  potrebbe  dire  che  tale
richiamo potrebbe aumentare il prezzo di vendita  dell'oggetto  e  il
guadagno per l'erario); 
      ex art. 86 disposizioni di attuazione del codice  di  procedura
penale il Giudice puo' disporre la distruzione delle cose  confiscate
se la vendita non e' opportuna,  con  espressione  onnicomprensiva  e
idonea a ricomprendere ogni possibile ipotesi  di  inopportunita'  di
reimmissione sul mercato dei bene. 
    La questione appare poi rilevante nel presente giudizio, 
    - dovendosi disporre confisca della  pistola  in  sequestro  alla
luce della disposizione cogente dell'art. 6,  legge  n.  152/1975,  e
comunque (pende questione di legittimita' costituzionale in ordine  a
tale profilo) atteso che la superficialita'  mostrata  dal  F.  nella
custodia dell'arma induce nel caso concreto questo GE a  ritenere  la
opportunita' di confisca della stessa; 
    - inerendo la destinazione da dare al bene  successivamente  alla
sua confisca.